Lo spamming a fini di profitto è un reato
Sempre più forte e chiara la posizione italiana sullo spamming. Definiti dal Garante per la protezione dei dati personali i profili penali e le conseguenze per gli spammatori: lo spam a fini di profitto è reato e può essere punito con la reclusione fino a 3 anni.
Inviare e-mail pubblicitarie senza il consenso del destinatario è vietato dalla legge.
Il Garante per la protezione dei dati personali ha posto in chiara evidenza i profili penali tornando ad occuparsi con un provvedimento generale del fenomeno dello spamming, cioè dell’invio massiccio ed indiscriminato di messaggi pubblicitari non richiesti, che interessa singoli utenti Internet e piccole e medie imprese costrette a sopportare vari costi.
Se questa attività, specie se sistematica, è effettuata a fini di profitto, si viola anche una norma penale e il fatto può essere denunciato all’autorità giudiziaria. Sono previste varie sanzioni e, nei casi più gravi, la reclusione.
Spamming: le nuove linee guida del Garante
Oltre a rappresentare una fastidiosa intrusione, lo spamming può comportare ingenti spese, soprattutto in termini di tempo e di costi per attuare misure organizzative e tecnologiche volte a contrastare virus, tentate truffe, messaggi e immagini inadatte a minori.
Dopo una serie di interventi mirati, che hanno portato a sospendere l’attività illecita di alcune aziende e persone fisiche e a denunciarne talune all’autorità giudiziaria, e di linee comuni concordate su scala europea, il Garante ha adottato un nuovo provvedimento per precisare vari aspetti legati all’invio di e-mail promozionali o pubblicitarie.
Chi intende utilizzare le e-mail per comunicazioni commerciali e promozionali, senza mettere in atto comportamenti illeciti, deve tenere presente che:
- È sempre necessario il consenso informato del destinatario. Gli indirizzi e-mail recano dati personali e il fatto che essi possano essere reperiti facilmente su Internet non implica il diritto di utilizzarli liberamente per qualsiasi scopo, come per l’invio di messaggi pubblicitari.
- Il consenso è necessario anche quando gli indirizzi e-mail sono formati ed utilizzati automaticamente mediante un software, senza verificare se essi siano effettivamente attivati e a chi pervengano, e anche quando non sono registrati dopo l’invio dei messaggi.
- Il consenso del destinatario deve essere chiesto prima dell’invio e solo dopo averlo informato chiaramente sugli scopi per i quali i suoi dati personali verranno usati: vale dunque la regola dell’opt-in, cioè del accettazione preventiva di chi riceve le e-mail, non del rifiuto a posteriori (opt-out).
- Non è ammesso l’invio anonimo di messaggi pubblicitari, cioè senza l’indicazione della fonte di provenienza del messaggio o di coordinate veritiere. E’ comunque opportuno indicare nell’oggetto del messaggio la sua tipologia pubblicitaria o commerciale.
- Chi detiene i dati deve sempre assicurare agli interessati la possibilità di far valere i diritti riconosciuti dalla normativa sulla privacy (revoca del consenso, richiesta di conoscere la fonte dei dati, cancellazione dei dati dall’archivio, etc.).
- Chi acquista banche dati con indirizzi di posta elettronica è tenuto ad accertare che ciascuno degli interessati presenti nella banca dati abbia effettivamente prestato il proprio consenso all’invio di materiale pubblicitario.
- La formazione di appositi elenchi di chi intende ricevere e-mail pubblicitarie o di chi è contrario (le cosiddette “black list”) non deve comportare oneri per gli interessati.
Spamming: le sanzioni e il reato penale
L’autorità ha disposto per un’ampia serie di destinatari un ulteriore divieto dell’attività, già illecita in base alla legge, indicando alcune modalità per tutelare i diritti degli interessati anche di fronte all’autorità giudiziaria penale o in caso di e-mail provenienti dall’estero.
Le sanzioni per chi viola le disposizioni di legge vanno dalla multa, in particolare per omessa informativa all’utente (fino a 90mila euro) alla sanzione penale, qualora l’uso illecito dei dati sia stato effettuato al fine di trarne per sé o per altri un profitto o per arrecare ad altri un danno (reclusione da 6 mesi a 3 anni).
E’ prevista anche la sanzione accessoria della pubblicazione della pronuncia penale di condanna o dell’ordinanza amministrativa di ingiunzione.
Ulteriori conseguenze possono riguardare l’eventuale risarcimento del danno e le spese in controversia giudiziaria o amministrativa.