Lo streaming è illegale? Si rischiano fino a 5 anni

Una proposta di legge mette al bando lo streaming online: tutto questo potrebbe accadere negli Stati Uniti d’America dove qualcuno propone di mettere in carcere i “colpevoli”

Lo streaming? È come un download illegale...

Due leggi molto dure contro la pirateria stanno per essere approvate negli USA. Si tratta di misure volte a restituire respiro a un settore, quello “cinemusicale” che oltreoceano è di forte traino all’economia nazionale.

Non stupisce infatti che la prima di queste due riforme verrà firmata in questi giorni in California, regione che, guarda caso, ospita quel noto centro a pochi chilometri da Los Angeles che va sotto il nome di Hollywood. Il cuore dell’industria cinematografica, sotto assedio dei velieri pirata, fa sentire la sua incidenza lobbistica agendo attraverso il potere legislativo.

Si tratta della proposta SB 550 che promette poteri più forti d’indagine alle autorità investigative. In particolare, esse potranno svolgere ispezioni negli impianti di duplicazione di CD e DVD per verificare la conformità degli stessi con le leggi anti-pirateria e meglio identificare gli impianti responsabili della stampa di dischi illegali. Le stesse autorità potranno altresì controllare che i dischi contengano le “informazioni di identificazione dell’origine”, una sorta di impronte digitali che garantiscono la genuinità del prodotto e la provenienza legale.

Forse non molti sanno, infatti, che le copie dei CD distribuite per la vendita oppure offerte in promozione alla stampa possono essere “watermarked” ossia contengono un timbro invisibile, fatto di dati digitali (appunto per questo “marchiato con l’acqua”) che consentono di ricostruire la vita di quello specifico prodotto. In alcuni casi, i watermarked contengono addirittura il nome e il cognome del giornalista che ha ricevuto il promo in omaggio per stenderne, per esempio, una recensione.

Gli Stati Uniti mettono al bando lo streaming?

Ma la proposta di legge che sta facendo impallidire la rete è quella che si appresta a varare il Parlamento centrale di Washington con un accordo bipartisan. Si tratta della legge S.978, la quale equipara lo streaming di contenuti protetti dal diritto d’autore al download illegale. La ratio della norma, che apparentemente potrebbe sembrare in linea con la normativa antipirateria, rischia però, nelle sue conseguenze, di divenire un provvedimento troppo restrittivo. Vediamo subito perché.

Molti utenti della rete sono soliti caricare su YouTube o su altre piattaforme le proprie esibizioni emulative. Così la rete è piena di video di chitarristi che insegnano come suonare questo o quel brano, o che si esibiscono nella perfetta riproduzione di canzoni famose, o semplicemente che si divertono con karaoke digitali. È il fenomeno delle cosiddette cover. Sappiamo però che, in genere, chiunque riproduca una brano altrui in pubblico deve chiedere l’autorizzazione al titolare del diritto (in Italia, alla SIAE). Questa attività, tuttavia, è sempre stata svolta senza troppi freni su Internet: quasi sempre, peraltro, per un fine ludico che speculativo. Ebbene, da oggi, tale condotta potrebbe essere equiparata a quella di chi scarica illegalmente un brano. Con la conseguenza che si rischiano fino a cinque anni di galera. Mica poco!

Nello stesso momento, però, l’altra faccia anglosassone del globo dà segnali di natura opposta. Dal Regno Unito fanno sapere che la crisi del settore musicale è dovuta prevalentemente al fatto che ormai tre album su dieci sono acquistati in digitale. L’internet store rappresenta ormai il 28,2% delle vendite di CD, con una crescita di oltre il 24% rispetto al 2010.

Sono dati che sconfessano quello che invece vogliono far credere gli Stati Uniti, ossia che la pirateria musicale sia la causa della crisi del settore discografico e della perdita di milioni di posti di lavoro. In realtà, le nuove metodologie di produzione, con un totale azzeramento dei costi delle copie, hanno imposto una ridefinizione e ristrutturazione del settore. È inutile lamentarsi che non si vendono più carrozze se ormai l’automobile è entrata nella vita quotidiana delle famiglie.

La Gran Bretagna non sa il danno provocato dallo streaming (se esiste)

La stessa Gran Bretagna ha anche risposto ufficialmente ad un’associazione, la Freedom Information Act, la quale chiedeva che fosse resa nota l’incidenza della pirateria informatica sull’industria audiovisiva. E il Governo di Sua Maestà (lo stesso governo che aveva approvato, tempo fa, una legge simile a quella francese dei “tre colpi”) fa spallucce e semplicemente  risponde “non lo sappiamo”: non esistono studi ufficiali e scientifici che provino la stretta interdipendenza tra pirateria e crisi economica. Anche perché le contrarie tesi provengono sempre da relazioni commissionate dall’industria dei contenuti, dunque tutt’altro che imparziali.

Come mai due popoli così vicini tra loro, almeno a livello commerciale, arrivino poi a conclusioni tanto diverse sembra un apparente mistero. Forse la causa è da ricercare nella sostanziale autonomia delle produzioni discografiche inglesi. Dagli anni ’70, il Regno Unito è stato la patria di tutti i piccoli studi di registrazioni e oggi delle label indipendenti (indie). Al contrario, la prepotente presenza delle major negli Stati Uniti (Warner, Disney, Dreamworks, Sony e company), con tutto il loro mercato collaterale, fatto di franchising, turismo e quant’altro, tiene in piedi ancora una struttura fantasma.