Italia: meno lavoro per i laureati
Il Censis sottolinea come la laurea non sia più una garanzia di occupazione, al contrario di quanto avviene nella maggior parte dei Paesi europei. In Italia la percentuale di diplomati occupati supera quella dei laureati. Preoccupa sempre di più il fenomeno dei NEET.
Il Censis avverte che il trend sta cambiando: il nostro Paese sta sperimentando lo strano fenomeno dei giovani “overqualified”, ovvero troppo qualificati per il lavoro che richiedono.
L’istituto di ricerca socio-economica sottolinea come i laureati italiani abbiano maggiori difficoltà nel trovare un lavoro rispetto ai diplomati e rispetto ai laureati degli altri Paesi europei. A preoccupare sono anche i NEET, termine con cui si indicano tutti quei soggetti che non lavorano, non studiano e non sono impegnati in formazione.
In Italia lavorano più i diplomati dei laureati
Secondo lo studio svolto dal Censis, solo il 66,99% dei laureati di 25-34 anni lavora nel nostro Paese, contro una media europea dell’84% (87,1% in Francia, 88% in Germania, 88,5% nel Regno Unito).
Il tasso di occupazione tra i laureati italiani di 25-34 anni è dunque più basso di quello dei diplomati della stessa fascia di età (il cui tasso occupazionale arriva al pur non esaltante 69,5%). L’istituto di ricerca avverte:
“In Italia la laurea non paga. I nostri laureati lavorano meno di chi ha un diploma, meno dei laureati degli altri Paesi europei, e con il passare del tempo questa situazione è pure peggiorata”.
Perché i laureati faticano a trovare lavoro?
Tra le ragioni principali del problema va rilevato sicuramente il cosiddetto “effetto parcheggio della laurea 3+2“: dati i tempi prolungati dei diversi cicli formativi, l’ingresso nel mercato del lavoro per i giovani italiani è ritardato rispetto agli altri Paesi europei.
Basti pensare che nella classe di età 15-24 il 59,5% risulta ancora in formazione, dato che nella media UE arriva al 53,5%. In questa fascia nel nostro Paese gli occupati sono il 20,5% rispetto al 34,1% della media europea (46,2% in Germania e 47,6% nel Regno Unito).
Vi è poi una fascia particolarmente preoccupante, costituita da quei giovani che non mostrano interesse né nello studio né nel lavoro: in Italia questi soggetti, definiti con l’acronimo NEET, arrivano ad una percentuale del 12,1% rispetto al 3,4% della media europea. Uno scenario a dir poco disastroso, insomma.
Come migliorare questa situazione?
Il Censis ha avanzato alcune proposte volte a migliorare l’occupabilità delle nuove generazioni.
In primo luogo sarebbe necessario anticipare i tempi della formazione e metterla in fase con le opportunità di lavoro: la laurea breve dovrà sempre più costituire un obiettivo conclusivo nel ciclo di apprendimento.
Occorre inoltre stimolare l’iniziativa imprenditoriale: non solo lavoro dipendente, ma soprattutto iniziativa imprenditoriale, professionale e autonoma. In che modo? Detassando completamente per i primi anni di vita le imprese costituite dai giovani con meno di 30 anni.
Infine, un’osservazione è rivolta al ricambio generazionale in azienda: si potrebbe introdurre un meccanismo per il quale l’azienda che assume due giovani con alti livelli di professionalità potrà essere aiutata a collocare un lavoratore a tempo indeterminato non più giovane, dopo opportuni corsi di formazione, in altre unità produttive, mantenendo il costo della formazione in capo ai soggetti pubblici.