Il brandjacking: cos’è e come combatterlo
I dati delle statistiche confermano un forte incremento del numero di frodi online come attacchi di phishing o di cybersquatting, dove i truffatori registrano domini che combinano false istituzioni finanziarie e brand: in quest’ultimo caso si parla di brandjacking.
Criminali di tutto il mondo continuano ad approfittare di Internet per rubare marchi ben noti per scopi illegali: si tratta della cosiddetta pratica del brandjacking.
Per i non addetti ai lavori il brand è identità, primario strumento di differenziazione tra le offerte in competizione sul mercato. Un prodotto viene reputato di marca non per il logo, ma per l’opinione che il mercato ne ha e per lo status che conferisce al proprietario.
Il brand rappresenta lo specchio della reputazione aziendale nel mercato: i “ladri di brand” sfruttano la confusione dei mercati finanziari per colpire i consumatori più vulnerabili e tali truffe online continuano ad essere abbastanza sofisticate e difficili da individuare per l’ignaro utente di Internet.
Brandjacking: di cosa si tratta
L’idea è quella di sfruttare nuovi mezzi come blog e siti di social media per trovare le vittime, utilizzando una vasta gamma di tecniche per le truffe che oscillano dallo spam a cybersquatting (occupazione abusiva dei domini) e phishing.
I dati delle statistiche confermano infatti un forte incremento del numero delle frodi come gli attacchi di phishing, così come dei casi di cybersquatting, dove i truffatori registrano domini che combinano false istituzioni finanziarie e brand al ritmo di più di un dominio al giorno.
Non appena l’andamento dell’economia peggiora, gli artisti della truffa sfruttano immediatamente le paure e le incertezze finanziarie dei consumatori e si precipitano a falsificare i marchi più conosciuti per il loro profitto.
In aggiunta ai mancati introiti dovuti al fatto che i clienti non raggiungono mai il vero sito, le aziende possono anche ritrovarsi con la reputazione del loro marchio irrimediabilmente danneggiata.
Brandjacking: la normativa in Italia
La normativa italiana si ispira in gran parte alle omologhe e collaudate procedure introdotte da ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) per i domini .org, .net e .com, meglio conosciute come MAP (Mandatory Administrative Proceedings).
A differenza delle norme ICANN, però, quelle italiane non proteggono solo i marchi ed i segni distintivi, ma si estendono anche ai nomi propri.
Così come quelle ICANN, le procedure italiane sono condotte da enti autonomi, abilitati dalla Naming Authority, presso i quali sono costituite liste di esperti con il compito di valutare se un nome a dominio contestato sia stato o meno registrato in mala fede a danno di chi ne aveva invece diritto. In caso positivo, il nome a dominio viene trasferito a chi lo ha contestato.
Tra i casi più affermati di brandjacking ci sono quelli relativi al settore farmaceutico: utilizzare lo spam per vendere falsi farmaci è una prassi sempre più diffusa, senza per altro alcuna attenzione nei riguardi della privacy e della protezione dei dati personali dei consumatori, nonché, soprattutto, della loro salute.