Quanto conta il Terzo Settore per l’economia italiana?

Luca Paolucci
  • Laurea in Economia e Management
  • Laureato in Management Internazionale

ISTAT: il valore economico del Terzo Settore è in costante aumento. Gli oltre 3 milioni di cittadini impegnati in enti no profit e associazioni di volontariato muovono circa 8 miliardi di euro ogni anno, con una capacità occupazionale che supera il milione di addetti.

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Quando si parla di “attività senza scopo di lucro” si pensa sempre al volontariato puro, con molta utilità sociale e poca utilità economica. Ma si tratta di una generalizzazione assolutamente errata.

Il volume economico che i quasi 3,3 milioni di cittadini che svolgono attività di volontariato nel nostro Paese muovono, infatti, corrisponde a qualcosa come 8 miliardi di euro in un anno. Un valore economico che corrisponde a 385 mila posti di lavoro a tempo pieno.

Si tenga presente, poi, che questo valore appena fornito non riporta il volume generato dai 630 mila impiegati regolarmente retribuiti. La capacità occupazionale dell’area no-profit, dunque, supera il milione di addetti, mentre le entrate – se complessivamente considerate per come realizzate dalle diverse tipologie di enti – salgono ad un valore che sfiora il 4% del PIL nazionale.

Questa fotografia del terzo settore, più che mai necessaria per dare il giusto rilievo a questa porzione laboriosa e poco visibile del nostro Paese, è stata scattata dall’ISTAT ed è stata commissionata dall’Osservatorio sull’economia sociale del CNEL.

L’importanza del Terzo Settore

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L’ISTAT, su commissione dell’Osservatorio sull’economia sociale del CNEL, ha da poco presentato un report volto a fotografare dall’alto un settore che ancora oggi viene economicamente sottovalutato: quello no-profit.

Lo studio è stata la chiave per dare una risposta ad uno degli interrogativi più importanti tra quelli relativi a questo macro settore, apparentemente poco importante e, invece, più che rilevante per la nostra economia.

Gian Paolo Gualaccini, coordinatore del CNEL, osserva:

“La valorizzazione economica del volontariato è fondamentale per rappresentare in modo realistico il peso dell’economia sociale”.

Attività questa dell’ISTAT che va di pari passo con quella dell’ILO, l’Organizzazione internazionale del lavoro, che ha recentemente pubblicato un proprio manuale per la misurazione del lavoro volontario: un documento che ha visto la partecipazione di Lester Salamon, direttore del Centro studi sulla società civile della Johns Hopkins University, centro di studi unversitari e post-universitari di altissima caratura e punto di riferimento a livello mondiale su questa tematica.

Il valore economico del Terzo Settore: lo studio dell’ISTAT

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Per raggiungere il suo obiettivo l’ISTAT ha assegnato un valore economico al tempo offerto gratuitamente dai volontari, che corrisponde al costo che si sarebbe dovuto pagare acquistando gli stessi servizi sul mercato. Successivamente, si è proceduto alla trasformazione delle ore donate in unità di lavoro equivalente e, conseguentemente, in numero di occupati a tempo pieno.

Ciò che vien fuori da questo calcolo è che le ore prestate dai volontari sono oltre 700 milioni, corrispondenti a 385mila unità occupate a tempo pieno.

Tuttavia, il valore dello studio, come sottolinea Gualaccini, non risisede nei dati in senso stretto quanto nella loro rilevanza:

“Il significato principale della ricerca risiede nel fatto che si dimostra, numeri alla mano, come il volontariato non sia un atto individuale, ma un valore economico e sociale. Ed è importante che a queste conclusioni si giunga tutti nel minor tempo possibile. La quantificazione delle unità lavorative, inoltre, permette di distinguere i contesti territoriali, gli ambiti di attività e i modelli organizzativi”.

In Italia sempre più coscienza sociale

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Quando si prova ad analizzare in maniera più approfondita la distribuzione di tale lavoro, si può notare come le ore donate alla comunità su base mensile dai volontari siano in media 20.

La presenza media dei volontari, poi, appare essere inversamente proporzionale alla dimensione delle organizzazioni: più queste sono, difatti, di piccola taglia, più l’importanza e il volume dei volontari tende ad aumentare. Si tratta di un effetto di “fidelizzazione” rispetto agli scopi associativi, che lascia trasparire quanto questo genere di attività lavorativa nasca per passione e si sviluppi per la coscienza sociale di ogni lavoratore volontario.

Ad ognuno di essi ciascuno di noi dovrebbe dire “grazie” perchè, come anche i dati ISTAT dimostrano, la crescita sociale è parte integrante della crescita economica.