PMI italiane: meno donne ma più tecnologiche

Luca Paolucci
  • Laurea in Economia e Management
  • Laureato in Management Internazionale

Sono di meno le donne manager in città rispetto alla provincia, ma sono più giovani e tecnologiche. Azzerato il digital divide di genere: se esiste è dovuto principalmente al titolo di studio, ma le donne sono più propense a ricevere formazione.

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Sono il 42,2% le micro e piccole aziende del Terziario milanese in cui i decision maker sono donne, ma solo il 32,3% nell’area urbana.

L’approccio alla tecnologia non è invece legato ad una differenza di genere: se esiste un divario digitale, esso è indipendente dal fatto che le imprese siano dirette da donne piuttosto che da figure maschili.

Questi sono alcuni dei dati emersi dalla ricerca “Donne e tecnologia: binomio per lo sviluppo” realizzata attraverso Freedata e presentata dalla Camera di Commercio di Milano insieme ad Assintel e con la collaborazione dell’Unione del commercio.

Lo studio prende in considerazione le micro e piccole aziende dei settori Servizi, Commercio al dettaglio, Commercio all’ingrosso e Pubblici esercizi di Milano città e provincia, ed ha come focus lo studio delle differenze di atteggiamento verso la tecnologia derivanti dal sesso di appartenenza.

Donne e imprese: lo studio

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La ricerca si inserisce in un progetto, finanziato dalla Camera di commercio di Milano, volto ad indagare il digital divide nel tessuto economico milanese, focalizzandosi sul segmento della micro e piccola impresa del terziario, spesso trascurato dalle statistiche ufficiali.

Il primo dato che emerge, a livello di presenza aziendale, è che le imprese “al femminile” sono il 42,2%. In particolare, esse occupano soprattutto il ruolo di Direttrice e Titolare, mentre gli uomini rivestono in modo preponderante il ruolo di Titolari.

La città sembra costituire un ostacolo per l’occupazione femminile nei ruoli decisionali: sono solo il 32,3% in città le aziende in cui i decision maker sono donne, mentre la percentuale sale al 54,2% nell’Alto Milanese, al 66,2% in Brianza e al 70,7% nella Direttrice Est.

Per quanto riguarda il titolo di studio, non sono state riscontrate differenze significative nella formazione professionale e culturale dei decision maker dovute al sesso di appartenenza, ma piuttosto all’area territoriale a cui le imprese appartengono: se a livello generale hanno una laurea il 27,1% uomini e il 19,7% donne, in Milano città si segnala una maggior presenza di laureati rispetto alla provincia (31,43% uomini e 25,8% donne).

Dalla ricerca emergono anche dati interessanti relativi alla distribuzione per fasce d’età: le donne risultano distribuite maggiormente in quelle più giovani. Mentre il 67,9% di esse risulta avere un’età inferiore ai 45 anni, con una media di 40,5 anni, questa percentuale per gli uomini scende al 44,7%, con un’età media di 47 anni. Questo è segnale sia di un’affermazione più recente della donna nei ruoli decisionali rispetto alla consolidata leadership maschile, sia di una loro uscita prematura dal mondo del lavoro.

Il legame tra donne e tecnologia

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All’interno dello studio è stato poi dedicato uno spazio specifico per comprendere il legame fra donne e tecnologia, per capire in che modo è valorizzato e quali siano i possibili interventi da mettere in campo.

A livello di divario digitale nelle aziende, la ricerca mostra un dato assolutamente rilevante: esso è sostanzialmente slegato dall’appartenenza di genere dei decision maker. Esiste invece una relazione con il titolo di studio: esso infatti influisce sul comportamento tecnologico in azienda con maggior rilevanza per le donne che per gli uomini.

Poco significative sono anche le differenze di genere circa le difficoltà percepite nell’utilizzo della tecnologia e la loro utilità nel permettere di svolgere attività slegate dal luogo/orario di lavoro: circa il 55% delle decision maker è già soddisfatto, mentre il 12% di esse non ha nessuna intenzione di approcciare la tecnologia.

Questi dati sono interessanti in quanto fanno pensare al fatto che le donne intervistate non percepiscano i vantaggi che l’ICT possa portare loro concretamente come strumenti abilitanti di crescita per rendere possibili nuovi scenari e scelte di vita oggi complesse.

Di contro, le donne sembrano capitalizzare maggiormente il fattore formazione: esse sono più propense a ricevere formazione in fatto di tecnologia, ritenendo che essa possa essere utile per migliorare le proprie performance professionali sfruttandola in ambito lavorativo, ma anche per trarne vantaggio nella propria vita privata e familiare.